Il maglione islandese

il maglione islandese

IL TRADIZIONALE MAGLIONE ISLANDESE, IL LOPAPEYSA

Lo riconoscete? Magari il motivo attorno al collo e le spalle non vi è nuovo, ormai spesso riprodotto su classici prodotti di maglieria industriale. Sapevate invece che il tradizionale maglione islandese è un prodotto artigianale la cui altissima qualità è protetta da regolamentazioni in quanto icona rappresentativa dell’identità nazionale.

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LE ORIGINI DEL MAGLIONE ISLANDESE

Il tradizionale maglione islandese non ha un autore specifico o delle precise coordinate di riferimento storiche. Tuttavia le studiose Elsa E. Guðjónsson e Soffía Valdimarsdóttir, indicano gli anni Cinquanta come momento di maggior diffuzione del lopapeysa (maglione di lana lopi, ovvero lana non filata). Per divertimento si diche che sia antico quanto la Repubblica islandese (proclamata nel 1944, anno in cui l’Islanda diventò indipendente dalla Danimarca).
La leggenda narra che Auður Sveinsdóttir, la moglie del poeta premio Nobel Halldór Laxness, abbia disegnato il maglione, ma di questa storia non si ha alcuna prova. È possibile che Auður abbia contribuito in qualche modo alla formazione della tradizione, ma con essa molte altre delle donne che lavoravano a maglia in Islanda.

Probabilmente, per quanto riguarda la fantasia del maglione, c’è anche lo zampino delle tradizioni straniere di maglieria che hanno raggiunto il Paese attraverso riviste di artigianato e moda, nonché dall’aumento degli acquisti di abbigliamento da parte di islandesi che facevano ritorno da viaggi in altri Paesi. Ad esempio la tradizione svedese Bohus (Bohus Stickning: stile caratterizzato da motivi multicolore lavorati con filati leggeri), popolare tra gli anni ’40 e ’60, era probabilmente il modello di riferimento principale.

Si sospettano anche influenze arrivate dagli abiti nazionali groenlandesi, così come modelli di maglieria norvegesi.

(Immagini tratte da rivista di settore, Istex).

LE CARATTERISTICHE DEL MAGLIONE ISLANDESE

Una delle caratteristiche principali del maglione islandese è la materia prima. La lana delle pecore islandesi è fine, leggera e più arricciata rispetto la lana di altre razze ovine. Ciò si traduce in maggiori proprietà isolanti sia in termini di isolamento termico che di impermeabilità.

Questo manufatto è dal febbraio 2020 protetto come marchio registrato, un tradizionale Íslensk lopapeysa deve rispettare una serie di requisiti, altrimenti trattasi di un falso. Al momento dell’acquisto bisogna fare attenzione, alcuni di questi sono prodotti sì con lana islandese ma filati in Cina. Al contrario l’originale è interamente fatto a mano in Islanda.
Queste le principali condizioni affinché i maglioni ricevano ufficialmente la denominazione di origine collegata al termine “maglione di lana islandese”:

1. La lana utilizzata per realizzare maglioni islandesi artigianali deve essere tagliata da pecore islandesi.
2. Deve essere utilizzata solo lana vergine.
3. Il maglione deve essere lavorato a maglia con lana non filata.
4. Il maglione deve avere il tipico motivo circolare nella zona delle spalle al collo.
5. Il maglione deve essere lavorato a mano in Islanda.
6. Il maglione deve essere deve essere un pezzo unico, senza giunture, nemmeno per le maniche.
7. Il maglione deve essere intero o aperto davanti.
Come si legge al punto 2 e 3 l’altra fondamentale particolarità, oltre alla materia prima, è la sua lavorazione: i maglioni vengono sferruzzati con non filata.

Gli islandesi erano soliti lavorare a maglia con il filato, ma le mutate pratiche di vita e di lavoro verso la fine del 1800 e inizio 1900, indussero le donne islandesi a iniziare a lavorare a maglia la lana non filata. La forza lavoro era sempre più migrata dalle campagne ai centri urbani che si stavano formando in riva al mare, a casa erano quindi disponibili meno mani per il lavoro con il fuso o il filatoio che richiedeva diverso tempo. Esistono documenti su esperimenti con la lavorazione a maglia non filata degli anni 1916-18, ma potrebbe essere stata pratica comune già da prima, ma non se ne faceva parola a causa della paura delle donne che non volevano che si sapesse di questo mancato passaggio di rifinitura.

Si può quindi dire che il lavoro della maglia grezza sia una testimonianza dell’autosufficienza e dell’ingegnosità delle donne islandesi durante i frenetici cambiamenti del ventesimo secolo.

OGGI

Il lopapeysa era diventato in qualche modo standard nella sua forma tradizionale alla fine degli anni Sessanta. In questi anni divenne un popolare prodotto di esportazione, ma negli anni ’80 meno persone lo volevano. Verso la fine del secolo, il maglione era quasi esclusivamente utilizzato delle classi lavoratrici e da coloro che facevano campeggio e altre attività all’aria aperta. L’industria laniera islandese era allora ad un punto di stallo.

Nel 2003 è iniziato nuovo capitolo nella storia della tradizione: Védís Jónsdóttir ha disegnato un maglione più corto, su misura e con cerniera che è diventato rapidamente molto popolare.

Il design di Védís è apparso nell’atmosfera di un’ondata di rinnovato interesse per l’artigianalità. Di conseguenza, iniziò un fiorente rimodellamento della tradizione, che continua ancora oggi. Bergthóra Guðnadóttir subito dopo ha presentato la sua linea di prodotti, Farmers market, anch’essa molto popolare.

Il maglione islandese trae le sue caratteristiche principalmente dalla lana, ma sembra, a ben guardare, avere forti radici nella cultura degli islandesi stessi. Si collega al passato, alla natura, al paese e alla Nazione, ma allo stesso tempo è una tradizione viva a cui si fa riferimento in diversi rami dell’arte e della cultura, dai film, alla letteratura e all’arte, all’artigianato e al design.

Recentemente sui quotidiani islandesi è uscita la notizia di alcuni nuovi maglioni prodotti da H&M ritenuti una mancanza di rispetto nei confronti del lopapeysa islandese. Conferma del fatto che la protezione dell’artigianalità di questo manufatto sia molto sentita (link: https://www.visir.is/g/20222334461d/nyjar-peysur-i-h-m-vanvirding-vid-islensku-lopapeysuna-).

Vi piacerebbe averne uno ma per ora un viaggio in Islanda non è ancora previsto? Provate a dare un’occhiata a questo link: https://www.handknitted.is/

NB: si sconsigliano lavaggi frequenti, e, in caso fosse proprio necessario, va fatto solo ed esclusivamente a mano e con molta delicatezza!
Fun fact: la storia vuole che in un tempo imprecisato un pescatore francese sbarcato in Islanda cercò di comunicare con dei contadini. Non avendo alcuna lingua in comune con loro, il pescatore si limitò a parlare in francese, riferendosi agli islandesi con il termine francese di paysan “contadino” e facendo ciò indicava le persone, le quali, siccome indossavano il tradizionale maglione di lana islandese, pensarono che egli si stesse riferendo ai maglioni appunto. Da qui nacque, secondo la leggenda, il termine islandese peysa.

Per quanto bella e folkloristica come storia, non è altro che una leggenda in quanto non ci sono prove che attestino quest’origine. I linguisti pensano derivi dal basso-tedesco medio o dall’olandese medio. Nell’ “Íslensk Orðsifjabók” redatto da Ásgeir Blöndal Magnússon (1989:705) egli afferma che nonostante le incertezze sulla radice della parola essa potrebbe derivare dal termine wambuis in uso nelle varianti sia basso tedesche che olandesi medie parlate nella zona di influenza della Lega Anseatica tra l’undicesimo ed il sedicesimo secolo.

La sua abbreviazione buis col significato simile a “maglia, maglietta” si sarebbe diffusa in Islanda nel sedicesimo secolo grazie alle relazioni commerciali intraprese dalla Hansa.

Il termine wambuis ha sua volta origine dal latino medievale wambasium, un tipo di indumento indossato sulla pancia sotto l’armatura, che a sua volta deriva dal greco medievale bámbax “cotone”.
Scritto da: Amanda Vanoletti, con la collaborazione di Emiliano Marzorati

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