Figure femminili e iscrizioni runiche

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LE DONNE NELLE ISCRIZIONI RUNICHE DI EPOCA VICHINGA: UNA RUNOLOGIA AL FEMMINILE

Rune ed Epoca Vichinga sono tra le espressioni più peculiari della cultura nordica antica e da sempre affascinano l’immaginario collettivo, che però talvolta ne trasfigura l’essenza restituendone una visione parziale o stereotipata. Il binomio rune-vichinghi, inoltre, è amplificato dal fatto che proprio in questa epoca vennero realizzate migliaia di iscrizioni: monumenti pubblici pensati per celebrare i defunti, ma che servivano anche da attestazione di potere da parte delle famiglie di origine. Che ruolo avevano nella società scandinava di quel tempo le donne? Ce lo raccontano direttamente loro, committenti e destinatarie di alcune tra le più incredibili iscrizioni runiche di quei secoli.
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RUNE E VICHINGHI
LA SCANDINAVIA DEI SECOLI VIII - XI

All’interno della produzione runica scandinava si distinguono tre periodi fondamentali: la Fase antica, corrispondente all’età del Ferro Romana, quella vichinga (secoli VIII – XI) e quella medievale, conclusasi con l’adesione delle regioni nordiche alla Riforma. Fu tipicamente vichinga la moda di erigere pietre runiche in memoria dei defunti, monumenti pubblici posti in luoghi strategici e ben visibili, recanti testi lunghi ed articolati, dai quali è possibile ricostruire il sistema di valori che caratterizzavano la società di allora e delineare il ritratto di alcuni protagonisti di quei giorni. Le donne compaiono spesso in questi testi. Generalmente quali committenti, talvolta destinatarie, ma sempre si tratta di donne di potere, in grado di ereditare ed amministrare autonomamente i beni di famiglia, donne che ricoprono posizioni sociali di prestigio, mogli di capi o addirittura regine, che tuttavia all’occorrenza non nascondono i sentimenti e sanno evocare affettuosamente la memoria dei propri cari.

THOR BENEDICA QUESTE RUNE!
IL CULTO DEGLI ASI NELLA DANIMARCA DEL X SECOLO

In Danimarca si trovano le iscrizioni vichinghe più antiche, che tra le altre cose ben documentano il passaggio avvenuto nell’arco di poche generazioni dall’originaria fede pagana alla cristiana, e in Danimarca al principio del X secolo visse una donna di nome Ragnhild, committente di almeno due pietre runiche. Secondo il costume pagano, entrambi i monumenti facevano originariamente parte di complessi funebri più articolati, composti da un tumulo e segnalati da un insieme di pietre disposte a forma di nave. La più antica è la pietra di Tryggævelde, in cui Ragnhild giovane vedova senza figli celebrava la memoria dello sposo Gunnulfr affermando “pochi nasceranno migliori di lui”, mentre pochi anni dopo fu incisa quella di Glavendrup, dedicata al secondo marito Alli, “gođi del santuario e þegn degno di onore”. Particolare la scelta di Ragnhild di far concludere le due iscrizioni con una formula di maledizione pressocchè identica scagliata contro quanti oseranno spostare i monumenti …e se fosse rimasto qualche dubbio sulla fede di questa donna…in Glavendrup viene perfino espressamente invocato Thor!

THYRA, REGINA, SALVEZZA DELLA DANIMARCA E AROLDO DENTEAZZURRO

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Jelling I (DR 41) foto di Luisella Sari danmarkar bót
Il passaggio alla nuova fede cristiana sarebbe avvenuto alcuni anni dopo, con re Aroldo DenteAzzurro, i cui genitori però, Gorm il Vecchio e la regina Thyra, ancora condussero la propria esistenza secondo le antiche usanze.

Gli storici medievali descrivono Thyra come una donna di spiccata intelligenza relazionale e politica, astuta, ma anche virtuosa. Si arrivò perfino a dire che fosse spirata in odore di conversione e avesse trasmesso i nuovi valori cristiani al figlio, futuro sovrano.

Forse queste parole celano qualche esagerazione, eppure Thyra deve veramente essere stata una donna fuori dal comune perché alla sua morte Gorm volle pubblicamente renderle omaggio a Jelling, centro del potere e luogo di culto, con una pietra runica in cui la regina viene definita danmarkar bót, un termine di difficile traduzione che sta a indicare qualcosa di prestigioso, prezioso, che forse racchiude perfino la salvezza.

VICHINGHI: PERSONE COME NOI?

In alcuni casi le iscrizioni di epoca vichinga toccano corde più delicate che non quelle della propaganda e della manifestazione di potere, lasciando spazio ad un’intima e sincera espressione del dolore, come quella di Þórir, che piangeva la la perdita della madre defininendola “la cosa peggiore che possa capitare” (pietra di Rimsø, Jutland). Tuttavia peggiore della perdita di un genitore può essere solo la perdita di un figlio, una tragedia affrontata con il supporto della nuova fede cristiana e ammirevole dignità da Gunnvǫr, proprietaria ed amministratrice della fattoria di Dynna nella Norvegia di inizio XI secolo.

AMORE MATERNO NELLA NORVEGIA DEL 1000

La fattoria di Dynna (c. 100 km a nord di Oslo) sorgeva ancora nello stesso luogo ad inizio XIX secolo e nel recinto del bestiame vi era un particolare supporto per il sale destinato agli animali: una lastra di arenaria ben tagliata, certamente antica. Qualcuno un giorno notò delle figure e dei caratteri incisi nella pietra e pensò che potesse valere la pena mostrarla ad un esperto chiamato dalla capitale. I caratteri erano rune, di epoca vichinga, e dopo una trattativa la lastra fu venduta (e così messa in salvo) al Museo Storico di Oslo, dove si trova ancora oggi.

Il testo è il seguente:

Gunnvǫr, figlia di Þryðríkr fece il ponte in memoria di sua figlia Ástríðr. Era la fanciulla più abile di Haðaland
Iscrizioni runiche
Dynna N 68
Precisando di aver commissionato il ponte, e non le rune, in memoria della fanciulla, Gunnvǫr si collocava immediatamente in un contesto di sensibilità cristiana, in cui la realizzazione di opere di bene pubblico si sperava potesse servire per ottenere indulgenze per i defunti, ma ancor più toccante è il fatto che le scene scelte per decorare la pietra siano raffigurazioni della Natività.

Delle qualità della fanciulla ne viene citata solo una: era la “più abile”, una parola che indica un’abilità pratica, manuale, forse in una delle attività tipicamente femminili come la tessitura o il ricamo. Gunnvǫr, buona cristiana, non era riuscita tuttavia a resistere alla tentazione di ricordare quanto come madre fosse orgogliosa di quella figlia scomparsa troppo presto.
UNA FAMIGLIA, MOLTE RICCHEZZE. SVEZIA, XI SECOLO
Chiudiamo questa rassegna con una testimonianza proveniente dalla Svezia, dove nella prima metà dell’XI secolo vissero non distante dalla attuale Stoccolma due donne, madre e figlia, di nome Geirlaug e Inga, accumunate da un particolare destino.

La Svezia possiede la grande maggioranza delle pietre runiche di epoca vichinga, concentrate soprattutto nelle regioni centrali di Uppland e Södermanland. Questo dato numerico consente di individuare all’interno del corpus gruppi di iscrizioni tra loro correlate, perché trattano di uno stesso evento storicamente identificabile o perché raccontano le vicende di più generazioni di persone appartenenti alla stessa famiglia. È questo il caso di Geirlaug ed Inga.

Almeno 8 iscrizioni, inclusi dei frammenti, consentono di ricostruire la loro vita.
In particolar modo quella che meglio riassume la vicenda è cronologicamente l’ultima del gruppo, la pietra conclusiva, commissionata da Geirlaug nei pressi di Hillersjö, dove tutto aveva avuto inizio al momento della sua nascita. Il testo è lungo, complesso, elegantemente inciso all’interno di sinuosi corpi nastriformi di serpenti tra loro intrecciati e si apre con un’esortazione per chi legge: prestare attenzione per ben interpretare il significato di tutto!

La fanciulla Geirlaug era stata data in sposa una prima volta, rimanendo purtroppo vedova senza prole ancor giovane. Per tale ragione si sposò una seconda volta con un altro ricco proprietario terriero locale e questa volta dall’unione nacque una bambina: Inga. Anche Inga giunta in età da marito si accasò con un uomo potente, ma rimasta ben presto vedova, con una sorte simile a quella della madre, convolò a seconde nozze. Ebbe alcuni figli, tutti però poco alla volta morirono, finchè le due donne rimasero sole. Ad una Geirlaug che immaginiamo ormai anziana, non fu risparmiato l’ultimo dolore quando anche Inga morì. La formula non si chiude né con una preghiera né con un rimpianto, bensì con un’informazione molto precisa: allora Geirlaug ereditò da Inga. Divenne l’unica padrona di tutto, di quello che era stato dei suoi mariti, dei suoi generi, di sua figlia e il runristare chiude il testo aggiungendo la propria firma come un testimone chiamato di fronte ad un moderno notaio per suggellare un atto pubblico di successione.

A noi resta la sensazione di dignità e autorevolezza che emana dalla figura di Geirlaug. Matriarca non piegata dal dolore, orgogliosa padrona di sé, ancora abbastanza forte da reclamare la propria posizione sociale e la propria indipendenza andando incontro al destino a testa alta.
Scritto da Luisella Sari

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